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Napoli, rivolta dei giocatori che rifiutano il ritiro: quando il lavoratore disobbedisce

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Dopo la partita di Champions League contro il Salisburgo la squadra si è rifiutata di ottemperare all’ordine del presidente De Laurentis di continuare il ritiro: i calciatori, ritenendo il ritiro ingiusto, hanno volontariamente ignorato l’ordine datoriale e sono tornati a casa.

L’ammutinamento dei calciatori del Napoli degli scorsi giorni è un caso unico e, senza entrare nel merito dei regolamenti di questa società, il tema apre ad alcune riflessioni in campo sportivo e giuslavoristico.

Cosa dice la disciplina di settore

L’Accordo Collettivo tra FIGC, Lega Nazionale Professionisti Serie A e l’A.I.C. disciplina diritti e doveri fondamentali di un calciatore che è, ovviamente, prima di tutto un lavoratore dipendente.

In particolare, l’art. 7 dispone che in occasione di trasferte o ritiri il calciatore debba usufruire di adeguati mezzi di trasporto a cura e spese della Società. Sebbene, quindi, si tenda ad operare una distinzione tra cd. “ritiro tecnico” e “ritiro punitivo” la contrattazione di categoria non opera questa suddivisione: tutti i ritiri sono comunque funzionali al miglioramento delle prestazioni sportive. D’altro canto, dimostrare una condotta ritorsiva da parte della Società sotto forma di ritiro “punitivo” è operazione tecnicamente complessa perché se è vero che le decisioni tecniche (come anche portare la squadra in ritiro) spettano all’allenatore è anche vero che lo stesso coach è e resta un lavoratore subordinato.

I doveri di obbedienza e fedeltà

L’art. 10 dell’Accordo dispone, inoltre, che il calciatore debba adempiere la prestazione sportiva nell’ambito dell’organizzazione predisposta dalla Società, con l’osservanza delle istruzioni tecniche e delle altre prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. La norma, infine, specifica il dovere di fedeltà del dipendente nei confronti del datore di lavoro, imponendo il divieto di comportamenti che possano arrecare pregiudizio all’immagine della Società.

Tale norma, che richiama il contenuto degli artt. 2104 e 2105 del codice civile, disposizioni cardine in materia di rapporto di lavoro, ribadisce il dovere di obbedienza e fedeltà del lavoratore subordinato. Il lavoratore deve, in definitiva, rispettare le disposizioni dettate dal datore di lavoro o dai collaboratori di quest’ultimo e dai quali dipende gerarchicamente.

Al dovere di obbedienza si affianca quello di diligenza, nel senso che al calciatore professionista  viene richiesto di mettere a disposizione della società le proprie prestazioni lavorative in vista del conseguimento del risultato cui le stesse tendono e che, nello specifico, corrisponde anche alle aspettative della società datrice di lavoro e per le quali la società ha deciso di assumerlo.

Il lavoratore può rifiutare di obbedire ad un ordine?

La vicenda del Napoli apre ad un interrogativo: se e quando un dipendente possa rifiutare un ordine datoriale che ritiene illegittimo. Tipicamente, il motivo di contrasto sorge quando il datore di lavoro adibisca il dipendente a mansioni diverse e che quest’ultimo ritiene non adeguate alla sua qualifica.

Alla stregua dei richiamati principi di obbedienza, diligenza e fedeltà, tuttavia, il lavoratore non può legittimamente rifiutare di adempiere ad un ordine impartito dal datore di lavoro. Ed infatti, l’eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può solo consentirgli di richiedere al Giudice la riconduzione della prestazione alla qualifica di appartenenza (Cass. 24118/2018).

Esiste l’eccezione alla regola.

Il lavoratore potrà legittimamente rifiutare la prestazione solo:

  • in caso di totale inadempimento del datore di lavoro (ad es. mancato pagamento della retribuzione);
  • quando l’ordine sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore;
  • se l’ordine lo espone a responsabilità penale connessa allo svolgimento della prestazione.

Al di fuori delle eccezioni richiamate, il lavoratore che rifiuta di ottemperare ad un ordine preciso – come nella vicenda dei calciatori del Napoli – rischia una sanzione disciplinare commisurata all’entità del suo illecito.

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